venerdì 30 gennaio 2015

ILVA: DIPENDENTI, INDOTTO, DEBITO PUBBLICO



Abbiamo seguito la vicenda fin dall’inizio, con grande apprensione e preoccupazione, consapevoli dell’importanza dell’azienda nel panorama industriale nazionale e nella realtà novese, per le possibili ripercussioni su una situazione economica già stremata e per il timore di ricadute, anche sul piano umano, per maestranze ed indotto.

Dipendenti e indotto avranno tirato un sospiro di sollievo all’annuncio della nazionalizzazione dell’azienda , intravvedendo nell’intervento dello stato uno sblocco della situazione di stallo.
Possiamo comprendere che i dipendenti possano aver provato speranza di trarre vantaggio, nell’immediato, confidando nell’arrivo e forse nella continuità, in futuro, degli stipendi da mesi a rischio.

 Anche l’indotto può aver sperato nel saldo delle fatture arretrate, ma con un po’ meno ottimismo, in considerazione dei tempi lunghi di pagamento della pubblica amministrazione (infatti la protesta dei trasportatori è già in atto).

 Il resto degli Italiani ha poco da gioire (come anche del resto gli stessi diretti interessati sopra menzionati).

La precipitosa nazionalizzare ha dimostrato la volontà di non volersi sforzare per trovare un’altra soluzione, sicuramente non facile , anche per il peso dell’attività della magistratura su tutta la vicenda.

 Sforzi non sono stati fatti per trovare l’ unica concreta soluzione: un’ impresa privata che si accollasse onori ed oneri, pro e contro.

Durante la conferenza stampa di Renzi del 24 dicembre, all’annuncio della nazionalizzazione, improvvisamente ci è sembrato di ripiombare negli anni ’70, ai tempi della nascita della Gepi . Per chi non c’era o non la ricorda, era un’ azienda a partecipazione statale creata per rilevare le imprese private decotte, risanarle e rimetterle sul mercato, con lo scopo di garantire i livelli occupazionali. 

Ricordiamo : Lancia, Alfa Romeo, Innocenti, Autobianchi, Maserati, marchi del settore tessile e poi Alemagna, ecc., ecc. Fu un disastro.

Ma ribadiamo ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che lo stato in un’impresa  è il problema, non è la soluzione, è il male, non è la cura! Come possono , a parte quello che hanno dimostrato in passato, manager pubblici e giudici competere nell’ agguerritissimo mercato mondiale dell’acciaio?

Il decreto Ilva ha nascosto il problema, non lo ha risolto. Nella realtà economica, come nella vita, ci sono due tipi di problemi: quelli palesi (che si vedono) e quelli latenti (che non si vedono, ma che ci sono e prima o poi gli effetti si manifestano).

Il problema Ilva c’è ed è enorme, nessuno sa quanto. Ha aspetti e confini non definibili.
L’Alitalia è costata agli Italiani 4.5 miliardi in quattro anni (oltre al costo del volo maggiorato, in regime di monopolio, per 4 anni per i passeggeri sulla tratta Milano-Roma).

Quanto ci costerà l’Ilva? Nessuno può saperlo, ma è sicuro che anche questa volta ci saranno più spesa pubblica, più debito, più tasse, che ricadranno anche sui dipendenti Ilva e sull’indotto e stiamo pur certi che questo” stato ladro” con una mano dà e con due toglie.

Sempre sperando che poi l’Europa non applichi sanzioni per aiuti di stato ad impresa privata, che naturalmente pagheremo noi. E sperando pure, che non ci siamo risvolti legali con risarcimento di danni miliardari a chi oggi si è vista espropriare l’azienda, come già avvenuto in passato nella storia italiana.

Ricordiamo, per concludere, che il debito pubblico, peraltro salito di 2.7 miliardi nel solo mese scorso, altro non è che una tassa differita, rimandata nel tempo e che graverà sui di noi, sui nostri figli, sui nipoti e probabilmente sui pronipoti. Inoltre agli esordi della Gepi il debito pubblico era al  40 % del Pil in un’Italia che cresceva, oggi siamo intorno al 140  % in un’Italia stremata da sette anni di recessione

C’è poco da gioire.

Francesco Rapa
Referente novese Comitato ALFARE

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