Abbiamo seguito la vicenda fin
dall’inizio, con grande apprensione e preoccupazione, consapevoli
dell’importanza dell’azienda nel panorama industriale nazionale e nella realtà novese,
per le possibili ripercussioni su una situazione economica già stremata e per
il timore di ricadute, anche sul piano umano, per maestranze ed indotto.
Dipendenti e indotto avranno tirato
un sospiro di sollievo all’annuncio della nazionalizzazione dell’azienda ,
intravvedendo nell’intervento dello stato uno sblocco della situazione di
stallo.
Possiamo comprendere che i
dipendenti possano aver provato speranza di trarre vantaggio, nell’immediato, confidando
nell’arrivo e forse nella continuità, in futuro, degli stipendi da mesi a rischio.
Anche l’indotto può aver sperato nel saldo
delle fatture arretrate, ma con un po’ meno ottimismo, in considerazione dei
tempi lunghi di pagamento della pubblica amministrazione (infatti la protesta
dei trasportatori è già in atto).
Il resto degli Italiani ha poco da gioire (come
anche del resto gli stessi diretti interessati sopra menzionati).
La precipitosa nazionalizzare ha
dimostrato la volontà di non volersi sforzare per trovare un’altra soluzione,
sicuramente non facile , anche per il peso dell’attività della magistratura su tutta
la vicenda.
Sforzi non sono stati fatti per trovare l’
unica concreta soluzione: un’ impresa privata che si accollasse onori ed oneri,
pro e contro.
Durante la conferenza stampa di
Renzi del 24 dicembre, all’annuncio della nazionalizzazione, improvvisamente ci
è sembrato di ripiombare negli anni ’70, ai tempi della nascita della Gepi .
Per chi non c’era o non la ricorda, era un’ azienda a partecipazione statale
creata per rilevare le imprese private decotte, risanarle e rimetterle sul
mercato, con lo scopo di garantire i livelli occupazionali.
Ricordiamo :
Lancia, Alfa Romeo, Innocenti, Autobianchi, Maserati, marchi del settore
tessile e poi Alemagna, ecc., ecc. Fu un disastro.
Ma ribadiamo ancora una volta, se
ce ne fosse bisogno, che lo stato in un’impresa
è il problema, non è la soluzione, è il male, non è la cura! Come
possono , a parte quello che hanno dimostrato in passato, manager pubblici e
giudici competere nell’ agguerritissimo mercato mondiale dell’acciaio?
Il decreto Ilva ha nascosto il
problema, non lo ha risolto. Nella realtà economica, come nella vita, ci sono
due tipi di problemi: quelli palesi (che si vedono) e quelli latenti (che non
si vedono, ma che ci sono e prima o poi gli effetti si manifestano).
Il problema Ilva c’è ed è enorme,
nessuno sa quanto. Ha aspetti e confini non definibili.
L’Alitalia è costata agli Italiani
4.5 miliardi in quattro anni (oltre al costo del volo maggiorato, in regime di
monopolio, per 4 anni per i passeggeri sulla tratta Milano-Roma).
Quanto ci costerà l’Ilva? Nessuno
può saperlo, ma è sicuro che anche questa volta ci saranno più spesa pubblica,
più debito, più tasse, che ricadranno anche sui dipendenti Ilva e sull’indotto
e stiamo pur certi che questo” stato ladro” con una mano dà e con due toglie.
Sempre sperando che poi l’Europa
non applichi sanzioni per aiuti di stato ad impresa privata, che naturalmente
pagheremo noi. E sperando pure, che non ci siamo risvolti legali con
risarcimento di danni miliardari a chi oggi si è vista espropriare l’azienda,
come già avvenuto in passato nella storia italiana.
Ricordiamo, per concludere, che il
debito pubblico, peraltro salito di 2.7 miliardi nel solo mese scorso, altro
non è che una tassa differita, rimandata nel tempo e che graverà sui di noi,
sui nostri figli, sui nipoti e probabilmente sui pronipoti. Inoltre agli esordi
della Gepi il debito pubblico era al 40
% del Pil in un’Italia che cresceva, oggi siamo intorno al 140 % in un’Italia stremata da sette anni di
recessione
C’è poco da gioire.
Francesco Rapa
Referente novese Comitato ALFARE
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