giovedì 10 novembre 2016

Referendum: Si e No, ma su cosa devono decidere i cittadini?


Penso che si siano tutti accorti che tra poco meno di un mese si andrà a votare per un referendum, per approvare o bocciare la riforma della costituzione che porta il nome Renzi-Boschi. Le fazioni del Sì e del No continuano darsi battaglia a forza di slogan e di interpretazioni a volte forzate ed a volte bizzarre di quello che succederebbe se vincesse “l’altro”.
Siccome il voto è importante, sempre, e bisogna sempre decidere con la propria testa, abbiamo  cercato di andare a vedere cosa è stato scritto esattamente nel testo della riforma, disponibile sul sito della Camera (http://www.camera.it/leg17/465?tema=riforme_costituzionali_ed_elettorali).

Non pretendiamo di dirvi come votare. Cercheremo solo di spiegare quello che abbiamo capito leggendo la riforma, e cosa può succedere votando in un modo o nell'altro.  Starà poi a voi leggere il testo della legge, cercare altre opinioni, e poi decidere cosa ritenete sia meglio.
Innanzi tutto, a differenza dei referendum ‘abrogativi’, come l’ultimo sulle ‘trivelle’, non esiste un quorum, ovvero il risultato sarà vincolante sia che voti solo l’1% o il 100% degli italiani. Anche se la riforma tocca diversi aspetti, che sarebbe forse stato meglio votare separatamente, la legge italiana prescrive un voto per la legge nel suo insieme. Quindi solo un sì o un no per approvare o rifiutare il tutto.

Leggendo il testo della riforma, si vede che i punti sono in sostanza 6:
  • superamento del bicameralismo perfetto
  • modifica del meccanismo dei referendum e dei relativi quorum,
  • riduzione del numero dei senatori e taglio delle spese
  • revisione della suddivisione delle competenze tra Stato e Regioni
  • eliminazione delle province dalla costituzione
  • soppressione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro.
Per quanto riguarda il primo punto, il superamento del bicameralismo perfetto, la riforma rivede in modo profondo il modo in cui vengono fatte le leggi in Italia. Oggi ogni legge deve essere approvata nello stesso identico testo sia dalla camera che dal senato, ovvero se il testo approvato alla camera passa al senato che cambia una virgola, deve nuovamente passare alla camera. Con la modifica, la Camera diventa il principale organo per l’approvazione delle leggi, mentre il Senato assume una funzione di controllo e competenze specifiche su alcuni temi, come i rapporti stato-regioni e le relazioni con la Comunità Europea. Tra le tante modifiche tecniche, vengono per esempio introdotti un limite alla decretazione d’urgenza, un tempo limite per la discussione di una legge, e l’obbligo per i deputati di partecipare alle sedute dell’assemblea e delle commissioni.

Votare a favore dovrebbe rendere il processo legislativo più facile e veloce, e probabilmente meno soggetto ad accordi di compromesso per mettere d’accordo due camere.
Votare contro significa lasciare le cose come stanno, evitando il rischio di uno strapotere del governo e possibili complicazioni legate al potere di controllo del senato.

Per quanto riguarda il secondo punto della riforma, la modifica del meccanismo dei referendum e dei relativi quorum, i cambiamenti proposti sono significativi.  Se per un referendum abrogativo si raccolgono almeno 800.000 firme, il quorum diventa la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni, mentre resta metà degli aventi diritto se si raccolgono solo 500.000 firme.  Vengono introdotte nuove forme di referendum, e aumenta dal 50 a 150 mila il numero di firme per fare una proposta di legge di iniziativa popolare, ma con l’obbligo di discuterla in tempi certi.
Votare si permette di avere nuove opzioni ed un quorum più basso, votare no mantiene la situazione attuale.

Riduzione del numero dei senatori e taglio delle spese. Nel cambiare il sistema bicamerale perfetto, il senato viene pesantemente riformato. Gli attuali 315 senatori eletti in collegi a base regionale spariscono, sostituiti da 95 senatori in rappresentanza delle ‘istituzioni territoriali’ più 5 che ‘possono essere’ nominati dal Presidente della Repubblica (che, per inciso, con la riforma mantiene gli stessi diritti e doveri che ha adesso).
I nuovi 95 + 5 senatori non avranno diritto all’indennità parlamentare. I 95 sono scelti, con modalità che devono ancora essere definite per legge ordinaria, tra consiglieri regionali e sindaci (almeno 1 per regione), incarichi per cui già hanno un’indennità, e decadono quando decade il loro mandato locale. I 5 senatori di nomina presidenziale non saranno più “a vita”: dureranno in carica 7 anni e non potranno essere rinominati.

Questa modifica renderà il senato un organo abbastanza fluido, in quanto i senatori non saranno legati alla legislatura bensì alle elezioni locali, quindi potrà succedere che la composizione del senato cambi mese per mese.
Sul taglio delle spese, certamente ci sono tante opzioni che permetterebbero risparmi maggiori, ma questa è quella, certamente migliorabile, disponibile al momento.

Votare sì significa ridurre il numero dei senatori e costringere alcuni amministratori locali al doppio lavoro, votare no significa mantenere il senato attuale, votato direttamente dai cittadini.
Relativamente al quarto punto, la revisione della suddivisione delle competenze tra Stato e Regioni, con una precedente riforma, lo stato aveva delegato diverse responsabilità alle regioni, portando in alcuni casi a differenza normative tra regione e regione a volte bizzarre. Con la riforma Boschi, molte responsabilità ritornano allo stato, purtroppo con qualche punto non ben definito, che riceve anche la possibilità di imporre alle regioni norme e provvedimenti in tutti i settori, quando vi sia una necessità di interesse nazionale.

Votare sì significa riportare allo stato molte responsabilità che ora sono delle regioni, e votare sì significa mantenere l’attuale situazione con leggi diverse da regione a regione.
Il quinto punto riguarda l'eliminazione delle province dalla costituzione. Molte delle responsabilità delle province sono già state eliminate da diverse leggi ordinarie, ma essendo le ‘province’ espressamente citate nella costituzione non è possibile eliminarle del tutto. Con la riforma si elimina la parola ‘provincia’ dalla costituzione, permettendo di cancellare questo livello dello stato.

Votare sì significa permettere la definitiva eliminazione delle province, votare no significa mantenere questo livello della struttura pubblica.
Al sesto punto la soppressione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL), su cui sono quasi tutti d’accordo. È un ente che dovrebbe suggerire al parlamento politiche economiche, ma in pratica ha sempre fatto poco o nulla. Votare sì significa eliminare un ente praticamente inutile, votare no lo manterrebbe in vita.

La propaganda da ambo i lati ha alzato i toni, paventando rischi spaventosi in caso di vittoria di una o l’altra ipotesi. Diventa utile quindi dire anche cosa non succederà. Tra le tante cose dette, ne prendiamo ad esempio solo due, che hanno avuto parecchia eco soprattutto sui social network.
  • La prima: se vince il no non è vero che l’Italia torna indietro di trent’anni. Le cose restano semplicemente come sono adesso.
  • La seconda: se vince il sì non è vero che l’Europa deve approvare le nostre leggi. L’articolo 117 resta come era prima, cambia solo il nome dato alla comunità europea nella nostra costituzione.
Ovviamente dietro ognuno di questi punti si possono fare molti ragionamenti e ipotizzare tanti scenari, ed ognuno ha il diritto, se non il dovere, di fare le proprie riflessioni.

Votate come preferite, ma fatelo su quello che è scritto nella norma.
    Claudio Casonato
Fondatore di Avanti Novi

NOTA: A questo link (cliccare qui) un post con le ragioni del NO di Flaminio de Castelmur, del movimento liberale ALFARE, e le ragioni del SI di Michele Fossati, di Avanti Novi.

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